Pubblicato da: miclischi | 15 Maggio 2024

Hotel Borg di Nicola Lecca: una piacevole conferma

Lecca Hotel Borg

Uscito nel 2006.

Si era ragionato qualche tempo fa (qui) a proposito della scoperta dei primi racconti di Nicola Lecca pubblicati quando era poco più che ventenne. Come spesso succede, viene voglia di leggere qualche altro libro di un nuovo autore che si è apprezzato. E così fu.

Ma la particolarità di questa seconda lettura sta nel fatto che, in seguito a uno scambio di messaggi di posta elettronica con l’autore, fu proprio lui a consigliarla. Avendo apprezzato la prima raccolta di racconti, scrisse, probabilmente Hotel Borg sarebbe piaciuto ancor di più.

Il filo conduttore che lega i due libri è la musica. Così come in Concerti senza orchestra le vicende dei vari personaggi dei racconti ruotavano, ognuno a suo modo, attorno alla musica “classica”, anche qui, nel romanzo del 2006, la musica c’entra e come. Ma, curiosamente, anche qui i vari personaggi (che siano un direttore d’orchestra, o una soprano affermata, o una voce bianca solista di successo, o un appassionato quasi maniacale, o persone che loro malgrado si trovano coinvolte nell’annunciato concerto) fanno sentire soprattutto il loro lato umano piuttosto che quello musicale.

Pergolesi stabat mater

La colonna sonora del romanzo.

La necessità di fare delle scelte, la difficoltà di viverle e condividerle con gli altri, è forse il tema principale nel quale si invischiano tutti i personaggi. Lui, il direttore d’orchestra affermato cui viene offerto l’incarico alla direzione della Filarmonica di Berlino, decide di rifiutare l’offerta e di ritirarsi dalle scene. Perché? E perché sceglie per il suo concerto di commiato lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi? E perché per quel concerto seleziona due solisti per così dire problematici? E forse ancor di più: perché sceglie come sede del suo ultimo concerto una piccola chiesa nella capitale dell’Islanda, la remota Reykjavík, con pochi posti che – sempre per sua scelta – saranno sorteggiati dall’elenco telefonico della città? E perché in quell’occasione i due solisti si interrogheranno anche loro su che svolte dare alle loro vite?

Le ansie, le angosce, le scelte dei personaggi (ce ne sono anche latri) si intersecano nei vari contesti, nei vari luoghi dove vivono, e poi nella fredda e apparentemente inospitale atmosfera di Reykjavík. Un romanzo in cui i pezzi del mosaico, dapprima sparpagliati, pian pianino vanno a formare il quadro d’insieme. E a far da sottofondo sonoro, naturalmente, lo Stabat Mater di Pergolesi.

Davvero un’altra piacevolissima lettura, per cui ci saranno da esplorare ancora altri libri di Nicola Lecca!

Pubblicato da: miclischi | 12 Maggio 2024

Multipli di undici

1969

In vacanza a Londra.

1969 – 11 anni

Quello fu l’anno di passaggio dalle scuole elementari alle scuole medie. Si giocava a minibasket con il sosia Bandettini, che infatti ci scambiavano spesso l’uno per l’altro. Ma fu anche l’anno del primo allunaggio, fatto che produse un tema in cui raccontavo che dopo la fine della diretta televisiva con Sandra si andò a passeggiare sul lungomare per aspettare l’alba… Ma il 1969 fu anche l’anno della storica vacanza familiare a Londra!

1980

A Gozo (Malta).

1980 – 22 anni

L’evento principale di quell’anno fu la spedizione in Sicilia con il furgone Volkswagen della tipografia camperizzato alla bell’e meglio per fare gli aggiornamenti del Navigare Lungocosta (Mauro era morto due anni prima e questo fu il primo aggiornamento fatto non da lui). Si partì con Marco, Ale e Giorgio. Ci si fermava a dormire dove capitava (a quei tempi si poteva). Lasciato il furgone da un amico di Geraldina vicino a Messina, ci fu poi la spedizione a Malta da solo. Una missione davvero storica. In settembre, a Nervi, dopo una settimana nella piscina con l’acqua salata, ecco il brevetto di istruttore subacqueo. Cominciarono anche i corsi all’Università di Firenze, dopo il trasferimento da Pisa, pendolando tutti i giorni (treno delle 6:50).

1991

Nasce Marina!

1991 – 33 anni

Ovviamente l’evento più importante di quell’anno fu la nascita di Marina, dieci giorni dopo Camilla (anche Luciano aveva 33 anni quando nacqui io). Pochi mesi dopo la sua nascita si andò con Merja e Marina a Zanzibar, un soggiorno durato quattro anni. Prima di partire per Zanzibar si andò con Mario e Elisa a recuperare la Blues Boat a Tramariglio per riportarla a casa (dove rimase a terra per anni…).

2002

Daniela a un pranzo del Gorgona Club con il Motta.

2002 – 44 anni

Quell’anno iniziò la storia con Daniela, conosciuta in quanto allieva al corso sub.

Galeotto fu il Rigoletto. Dopo tante discussioni sul teatro (ci manca la musica!) finalmente si andò all’opera, dopo un aperitivo da Domenico al Caffè in Via dei Mille, con il vestito bòno.

Poi si tornò a casa insieme…

2013

Motoviaggio nel sud.

2013 – 55 anni

Fatto saliente di quell’anno, il prodigioso viaggio in moto con Daniela scendendo lungo il Tirreno, poi attraversando la Basilicata fino alla Puglia, poi risalita lungo l’adriatico con soste in Molise e a Senigallia per poi riattraversare per tornare a casa. Quasi tremila chilometri con a gloriosa BMW R80 RT ormai scomparsa. Visite ad amici e parenti. Ma soprattutto esplorazione di coste, monumenti, città, paesi e paesini, luoghi noti e meno noti. Naturalmente in tenda (a meno di non essere ospitati da amici o parenti). Memorie indelebili legate alla gioia del viaggio e della condivisione con la partner ideale. Partner di viaggio e di vita. Che poi, in fondo, la vita è un viaggio.

2024

Capodanno in Maremma.

2024 – 66 anni

Eccoci qui. Gli anni corrono ma, come diceva Jolanda, l’età è uno stato d’animo. Quindi che siano 66, o 55 o 44… l’importante è viversela bene. Nonostante le sfighe e gli stress, la lontananza dalle donne che sento essere la mia famiglia, la salute che si logora… Siamo ancora troppo presto nello scorrere dell’anno per identificare l’evento più importante da ricordare con gioia. Quindi attendiamo che il tempo continui a scorrere, in attesa di qualcosa di davvero bello che possa accadere in quel che resta di questo 2024. Intanto, quest’anno lo abbiamo cominciato benissimo, in compagnia di amici fraterni.

Per la cronaca: Luciano Lischi quest’anno avrebbe compiuto 99 anni. E sua nipote Marina ne ha compiuti 33. Altri multipli di undici…

Pubblicato da: miclischi | 9 Maggio 2024

Una Halina Paulette Electric dal mercatino di Marina di Pisa

A

Manca la targhetta identificativa

Può succedere che sui banchetti di un mercatino caschi l’occhio su una vecchia macchina fotografica. In molti casi si tratta di macchine conosciute e a volte anche già possedute. In altri casi la macchina è sconosciuta oppure, come in questo caso, al mercatino di Marina di Pisa, non identificabile. Infatti la placchetta che indicava il nome se n’era andata chissà quando, e neanche sulla custodia originale era riportata nessuna indicazione. Visto che la davano via a quasi niente fu deciso di prenderla per provarla, e magari anche per identificarla.

A dire il vero la ricerca fu molto rapida. Bastò inserire come oggetto della ricerca le indicazioni riportate sull’obiettivo (Halinar Anastigmat) e subito apparve lei, stavolta con la targhetta identificativa, la Halina Paulette Electric. Si tratta di una macchinetta 135 senza molte pretese, prodotta, come informa il sito web Camera-Wiki, dalla ditta Haking a Hong Kong a partire dal 1965.

Halina Paulette Electric

Si nota il sensore della luce per l’esposimetro a fianco del mirino.

La particolarità “tecnologica” di questa macchina è la presenza di un esposimetro al selenio che indica con una lancetta il valore EV sulla parte superiore della macchina. Naturalmente quel valore andrà poi ricercato sull’obiettivo impostando la desiderata combinazione di tempi e diaframmi. Precedentemente, si deve impostare la sensibilità della pellicola su una apposita ghiera dell’obiettivo, cosa che all’inizio era sfuggita, ma fu poi trovata grazie alle precise istruzioni contenute nel manuale d’uso reperibile come al solito sul meritorio sito di Mike Butkus.

Halina otturatore

Ecco come rimane l’otturatore dopo gli scatti a tempi lenti.

Naturalmente prima di caricare il rullino furono fatte delle prove a dorso aperto per verificare la funzionalità dell’otturatore. Ed ecco un problemuccio non da poco: ai tempi lenti (fino a 1/60) le linguette dell’otturatore centrale, nel richiudersi, rimangono incastrate e di fatto l’otturatore non si richiude.

Fortunatamente, almeno all’apparenza, per i tempi di 1/125 e 1/250 questo problema non fu riscontrato, quindi fu deciso di fare delle prove usando solo quei tempi.

Considerando queste limitazioni, fu deciso di caricare un rullo di Fomapan 400.

Halina esposimetro

La lancetta dell’esposimetro sulla parte superiore del corpo-macchina.

Si provò a verificare anche l’improbabile funzionamento dell’esposimetro, il quale invece all’inizio dette delle buone indicazioni.

Peccato che lo schermo dell’esposimetro (ben visibile nelle foto qui sopra) non fosse ben fissato al corpo macchina, per cui dopo pochi scatti andò perso chissaddove…

Comunque, via, qualche prova andava fatta. Curiosamente, il primo scatto è risultato parecchio anomalo. Forse l’otturatore fa un po’ cosa gli pare anche ai tempi che precedentemente erano stati verificati come affidabili?

Halina primo scatto

Il primo scatto un po’ anomalo…

La cosa che alla fine è risultata più limitante, producendo anche degli scatti chiaramente sbagliati, è la necessità di regolare la messa a fuoco impostando la distanza del soggetto sull’apposita ghiera dell’obiettivo.

Questo giochino è risultato particolarmente difficoltoso per le distanze ravvicinate (per le quali, notoriamente, è ridotta anche la profondità di campo).

Vuoi la difficoltà di stimare la distanza esatta, vuoi la necessità di ruotare parecchio la ghiera fra una distanza e l’altra… Infatti come si può vedere nella serie di ritratti inseriti qui sotto, alcune delle foto risultano chiaramente sfuocate.

Decisamente più tranquille le situazioni con messa a fuoco all’infinito o quasi. In particolare, uno dei primi scatti che è stato dedicato a un tramonto marinese affollato di nuvole, e poi qualche foto scattata in occasione della gara di triathlon il 5 maggio.

Halina tramonto

Uno scatto al tramonto riuscito abbastanza bene.

picasion.com_Halina

Qualche scatto ravvicinato con qualche deficit di messa a fuoco.

Resta il fatto che le foto peccano un po’ (un bel po’) di scarsa nitidezza. Del resto la vecchiaia, si sa…

Comunque, come al solito, riprendere fra le mani una macchina “antica”, per di più sconosciuta (sia come modello che come marca), e farci qualche scatto, è sempre molto piacevole.

Una specie di sapore nostalgico dei tempi (fotografici) passati; ma forse anche proprio l’incognita di non sapere bene cosa aspettarsi.

Anche se in questo caso, trattandosi evidentemente di una macchinetta non troppo pretenziosa, non ci si aspettavano di certo scatti di qualità.

Molto probabilmente questa macchina finirà nel mobiletto delle reliquie e non sarà più utilizzata. Comunque è stato ganzo provarla.

picasion.com_Halina Triathlon

Qualche scatto alla gara di triathlon.

Pubblicato da: miclischi | 6 Maggio 2024

Al Fortino la storia di Tina Modotti: una meraviglia

tina tinissima

Alcune delle immagini utilizzate dal Circolo Il Fortino per promuovere la serata.

Tina Modotti: chi era costei? Chi la conosce o ne ha sentito parlare nell’universo della storia della fotografia (nel quale si è fatta un nome sia come fotografa che come modella, in particolare di Edward Weston); oppure per la sua breve ma intensa esperienza come attrice del cinema muto; magari, invece, per la sua storia di impegno politico come comunista e rivoluzionaria. Oppure per chissà quale aspetto fra i numerosissimi e diversissimi della sua poliedrica vita (forse nel caso di Tina Modotti non si può parlare di una singola vita: ne ha vissute parecchie, di vite). Oppure qualcuno proprio non sa chi sia.

Per chi la conosceva già, almeno in parte, per chi la aveva solo sentita nominare, o per chi proprio non ne sapeva nulla, ecco ad illuminarci la splendida serata al Fortino di Marina di Pisa, sabato 4 maggio 2024. Si tratta di una replica della serata del febbraio precedente, graditissima da tante persone che avevano perso la prima serata ma anche da chi, come chi scrive, non si sarebbe voluto perdere una seconda visione dello spettacolo.

Già: spettacolo? performance? conferenza-spettacolo (come è stato scritto)? Mettiamo insieme un narratore, un pianista che si esibisce dal vivo, una vocalista che ora canta ora recita; poi, sullo sfondo, sequenze di fotografia o filmati d’epoca. E alla fine della serata, un attore che interpreta una poesia di Pablo Neruda. La si chiami come si vuole, questa serata, ma è stato davvero un riuscitissimo collage caleidoscopico di eventi, situazioni, rappresentazioni e, soprattutto, emozioni.

Comincia con una specie di ritratto omnicomprensivo di questa donna speciale, il narratore Fabiano Corsini. Poi, pian pianino, nel corso della serata, si susseguono le varie fasi della vita di Tina: dalla nascita in Friuli all’emigrazione con la famiglia in Austria fin da bambina, poi il ritorno in Italia e il lavoro, poi l’emigrazione in California, poi il Messico, la Russia, l’Europa, la guerra civile in Spagna, il ritorno in Messico… e via dicendo in capitoli di vita che stupiscono per la loro complessità e diversità. Come se, davvero, Tina avesse voltato pagina proprio tante volte nel corso della sua esistenza.

Tina Veronica Risi

Veronica Risi interpreta gli scritti di Tina, canta, suona…

Si interrompe spesso, il narratore, ora per dare spazio a Veronica Risi che legge pagine dai diari di Tina o dalle sue lettere, oppure a Claudio Proietti che interpreta al pianoforte soprattutto brani d’epoca come i canti messicani o quelli della guerra di Spagna, al quale si accompagna talvolta Veronica Risi nel ruolo di cantante e vocalista; la quale Veronica Risi in un caso siede al piano per suonar cantando… Durante tutti questi scambi di ruolo, sullo sfondo si susseguono immagini significative.  Sono foto fatte a Tina oppure da Tina, ma anche tanti luoghi, persone, situazioni, e anche alcuni video: una sottolineatura importante delle varie fasi della vita di Tina, con un accento particolare sulle tante persone con le quali si è relazionata.

Una storia pazzesca, quella delle vite di Tina. Tranne brevi momenti di gioioso entusiasmo, per lo più legati alle innumerevoli storie d’amore che ha vissuto, la sua esistenza sembra impregnata soprattutto di dolore. Un dolore rappresentato benissimo dalla narrazione, dalla musica, dalle interpretazioni commoventi di Veronica Risi e di Claudio Proietti. Un’intensità fortissima che penetra nello spettatore, lo cattura, lo impregna, lo stordisce.

Una sensazione di dolore che raggiunge il suo culmine verso la fine, al momento della morte di Tina dopo il suo ritorno in Messico. Dopo la sua morte il poeta Pablo Neruda scrisse una poesia dedicata a lei, un modo per opporsi alle tante menzogne sciorinate dalla stampa su questo personaggio che veniva percepito soprattutto per la sua sconcezza, per le foto di nudo, per le tante relazioni avute. La poesia Tina Modotti ha muerto è interpretata molto intensamente da Astore Ricoveri.

Poi, a chiusura della serata, Veronica Risi si lancia in un delicato e enigmatico vocalizzo sul quale, poco a poco, si sovrappongono le note al piano di Claudio Proietti. Si tratta della fuga dal Preludio e fuga op. 87 n. 8 di Dmitrij Šostakovič. Il preludio era stato eseguito all’inizio della serata, un’oretta e mezzo prima. Queste due parti della stessa composizione, che usualmente vengono suonate una di seguito all’altra, qui fanno da contenitore di tutta la serata: l’apertura e la chiusura. Come a rappresentare che una vita intera può essere contenuta nei brevi istanti che separano il preludio dalla fuga. Una coesistenza potente per quanto surrealista di istantaneità ed eternità. In particolare, poi, questa fuga è un brano tragico, lento, doloroso. Una rappresentazione efficace del dolore per la morte di Tina e delle tante sofferenze che hanno accompagnato tutta la sua esistenza. Ma non solo: questa fuga, fra i quarantotto brani che compongono la serie completa dei ventiquattro preludi e fuga del compositore sovietico (non apprezzato, anzi, dal regime staliniano), è proprio il più lungo. Come se questo lamento finale, volutamente, si estendesse per un tempo molto esteso, un tempo senza tempo. Un invito a calarsi nella storia, a chiudere gli occhi e lasciarsi avvolgere da quella musica triste, per ripercorrere nella mente le tante emozioni suscitate dal susseguirsi dei tanti frammenti che hanno composto questa serata fantastica. Un finale straordinario per una performance collettiva straordinaria.

Tina Gruppo

Applausi meritati alla fine della serata.

Per la cronaca 1: Se uno volesse approfondire la conoscenza di Tina Modotti non mancano tanti strumenti. Fra i tanti, il libro Tina di Pino Cacucci, pubblicato da Feltrinelli. Ma anche nei diari di Edward Weston pubblicati in italiano, a cura di Valentina Agostinis, da Pratiche Editrice (non più esistente) con il titolo Ritratti al vivo, si trovano ovviamente tanti riferimenti a Tina. Ecco un breve brano scritto in occasione della partenza di Weston dal Messico: Ricorderò la mia partenza dal Messico soprattutto per la separazione da Tina. La barriera tra noi si è rotta per un istante. Finché non siamo giunti al Paseo, su un taxi che correva a gran velocità verso il treno, non mi sono permesso di guardarla negli occhi. Ma quando l’ho fatto e ho visto quello che dovevano dirmi, l’ho stretta a me, le nostre labbra si sono incontrate in un bacio infinito, interrotto solo dal fischio del vigile.

Per la cronaca 2: Claudio Proietti se ne intende, dei preludi e fuga di Šostakovič: a questa composizione ha dedicato due puntate di approfondimento su Radio Toscana Classica. Qui c’è la prima e qui la seconda.

Pubblicato da: miclischi | 8 aprile 2024

Qualche prova con la Pentax SF 7: soddisfacente

A

Una Pentax da provare!

Fa sempre piacere trovarsi fra le mani una macchina fotografica mai usata prima, tanto per farci qualche scatto di prova. E così fu con la Pentax SF7 ricevuta in prestito proprio per vedere se e come funzionasse.

Fa particolarmente piacere trovarsi fra le mani una Pentax per chi ha avuto lunghe frequentazioni con la MX e la ME Super. Anche se si trattava di un’altra epoca e di altre macchine. Questa SF7, prodotta alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, ha il trascinamento automatico, l’autofocus, insomma altra roba.

Una macchina che richiede un po’ di pazienza per esplorare le varie opzioni, le funzionalità dei vari pippoli e le varie rotelle, le indicazioni del display, eccetera.

A parte l’autofocus (disinseribile), questa macchina è predisposta per scattare in modalità manuale, oppure in automatico a priorità di diaframmi o di tempo di otturazione. Ed è proprio per scegliere fra queste opzioni che ci vuole un bel po’ di pazienza. Alla fine, però, funziona.

Pentax SF7

Lo zoom 28-80 è abbastanza ingombrante.

C’è voluto un bel po’ per trovare in che modo poter praticare delle sovra- o sotto-esposizioni volute, ma alla fine poi ci si è riusciti.

Una particolarità, abbastanza comune a partire da una certa epoca, è che la sensibilità della pellicola non va inserita manualmente (non si può proprio!) ma viene letta automaticamente dalle barrette di segnalazione sul rullino. Quindi niente rullini bobinati domesticamente, oppure esposizioni tirate, o pellicole Fomapan. Se la macchina non legge nessun codice sul rullino, la sensibilità è automaticamente settata su 100 ASA.

Pentax SF display

Ci vuole un po’ di impegno per familiarizzarsi con i comandi e con il display.

Una macchina abbastanza pesantuccia ma tutto sommato abbastanza ergonomica, soprattutto quando si è presa confidenza con i vari comandi (sostanzialmente una rotella zigrinata accanto al pulsante di scatto che permette di agire sull’esposizione).

Oltre alla selezione del programma da utilizzare usando il pulsante MODE e l’inserimento o il dis-inserimento del diaframma automatico sulla relativa ghiera.

Per orientarsi fra le varie opzioni e familiarizzare con i vari comandi torna utilissimo, come sempre il sito web di Mike Butkus dal quale si può scaricare il manuale di istruzioni in formato pdf.

Pentax prove Ila Bea

Dal primo rullo di prova: cliccando sull’immagine si accede all’album che contiene tutta la serie.

Lo zoom in dotazione della macchina in questione è un Pentax F Zoom 28-80 con opzione macro e apertura massima di 3.5 o 4.5 a seconda della focale scelta. Dato che si tratta di un apparecchio motorizzato, è possibile scegliere se fare scatti singoli oppure in sequenza. C’è anche un flash incorporato che però, in questa specifica macchina, non è stato possibile provare perché non funzionava.

E le prove pratiche? Sono stati scattati due rullini, ovviamente con codice di sensibilità. Il primo un Kentmere 400 e il secondo un Ilford FP4. Il primo sviluppato in Microphen e il secondo in ID11, entrambi in soluzione stock.

picasion.com_Pentax SF7 ritratti

Nel secondo rullo si è deciso di concentrarsi su ritratti più ravvicinati.

I test sono risultati tutto sommato soddisfacenti, anche per la versatilità dello zoom. In particolare si è approfittato del medio-tele alla massima estensione (80mm) per fare dei ritratti.

Ma anche del grandangolo per delle foto sul lungomare affollato, e simili.

E in alcuni casi ci si è spinti a usare anche l’opzione macro per i ritratti particolarmente ravvicinati. Di macro vere e proprie (cioè davvero ravvicinatissime) se nono scattate proprio poche, anche perché non si è presa la briga si montare l’illuminatore anulare. Ma anche le poche prove fatte sono risultate soddisfacenti.

Insomma una macchina versatile, di qualità, che alla fine ha passato il test. Anche se, bisogna ripeterlo, le modalità di esposizione nelle varie opzioni non sono particolarmente user friendly.

Per la cronaca: un piccolo album web con foto scattate in interno, dal primo rullo di prova, si trova qui.

Pentax SF7 macro

Uno dei pochissimi scatti macro, dal secondo rullo di prova.

Pubblicato da: miclischi | 3 aprile 2024

I primi racconti di Nicola Lecca: una bellissima scoperta

Lecca concerti

Pubblicato da Marsilio nel 1999

Uno scrittore italiano (anzi, sardo) che ha scritto parecchi libri pubblicati da editori prestigiosi, alcuni premiati… Insomma un autore importante, che però non si conosceva e di cui non si era mai letto niente: Nicola Lecca.

Poi arrivò un libro da una bancarella (grazie Sandra!). Fra l’altro, come a volte succede nei libri usati, con dedica dell’autore a un certo Sebastiano…

Si tratta di una raccolta di otto racconti dal titolo Concerti senza orchestra, pubblicata quando l’autore era poco più che ventenne. Come lascia presagire il titolo, si parla parecchio di musica in queste storie, tanto che alla fine c’è anche un minuzioso indice dei compositori e delle opere citate. E anche il titolo stesso prende spunto dalla Sonata per pianoforte n. 3 in fa minore, op. 14 di Robert Schumann, composizione che venne chiamata da Tobias Haslinger, appunto, Concerto senza orchestra. E pare che Schumann sia forse uno dei compositori preferiti dall’autore, visto che sono proprio le opere di questo musicista che sono le più numerose fra quelle citate…

La musica c’è nei racconti, e come: ci sono compositori, interpreti, appassionati… E questa importanza della musica nella crescita e la maturazione dell’autore viene sottolineata più volte. Per esempio, così dice il protagonista del quarto racconto:

I giovani della mia età nel borgo erano pochi; in nessuno di loro, comunque, la musica classica destava il minimo interesse, sembrava piuttosto che bucasse le loro anime fredde, trapassandole senza lasciare alcuna traccia.

Oppure nel racconto di chiusura:

… ho sempre ascoltato la musica classica, approfondendone la conoscenza con accurate letture di biografie e testi critici sui musicisti più celebri e sulle loro opere maggiormente rappresentative.

Ma, al di là della musica,  c’è forse un tema che su tutti prevale in tutte le storie: il disagio. In questi otto racconti (ognuno degli otto capitoli è preceduto da una nota in senso musicale: progressivamente la scala di do maggiore) Lecca racconta una variegata campionatura di disagi: il disagio dell’esistenza, le difficoltà nelle relazioni interpersonali,  familiari e affettive, la vecchiaia che fa perdere la lucidità (e ancor più la capacità di comporre musica) e obbliga ad affrontare i lutti. Oppure, l’ansia di non riuscire a superare un esame, vincere un concorso, esibirsi in pubblico durante un concerto. Ma, davvero, la musica fa da contorno alle vicende più strettamente intime dei personaggi. Fra l’altro anche Schumann, in termini di disagio, la sua parte l’ha fatta…

Stupisce davvero che uno scrittore così giovane riesca con disinvoltura a narrare le angosce di un anziano. Oppure a orientarsi con approfondita conoscenza in tante varie città europee, che sia nelle sale da concerto o nei locali o ristoranti in cui i personaggi si rifugiano, o a scrivere in prima persona al femminile. Eppure tutto questo c’è, e la scoperta delle abilità narrative di Nicola Lecca – già da giovanissimo! – è stata davvero una grandissima scoperta. Ora c’è tanto ancora da esplorare…

Per la cronaca: Pare che l’edizione originale non sia più disponibile nel catalogo Marsilio (ma si trova facilmente sul mercato dei libri usati). In compenso, il libro è stato ripubblicato nel 2023 dalla Casa Editrice Il Maestrale.

Pubblicato da: miclischi | 27 marzo 2024

Baumgartner: Paul Auster torna a stupire

Baumgartner

Uscito nel 2023 da Faber.

Può succedere. Un appassionato lettore scopre un nuovo autore, si entusiasma e comincia a leggere libro dopo libro, man mano che vengono pubblicati. Poi però può accadere che la passione cali: pare che l’autore abbia perso la sua verve narrativa o le sue proprietà espressive. E dopo qualche delusione si lascia perdere quell’autore, non se ne legge più niente. Questo fu quel che successe con Paul Auster.

Dopo tante appassionanti e coinvolgenti letture austeriane (una fra tutte: The Book of Illusions), l’interesse cominciò a calare con la lettura di Invisible e calò del tutto con Sunset Park.

Dopo oltre dieci anni, arrivò in regalo (grazie Sandra!) il suo libro più recente: Baumgartner.

Un libro che cattura fin dalla primissime pagine con la sua scrittura quasi incerta, eppur convincente, instabile eppur profonda, forse proprio come il protagonista del romanzo, lui, Baumgartner. Intellettuale, scrittore, professore universitario.

Un libro sull’invecchiamento, sulle giornate passate a casa nell’incertezza, nella confusione mentale (un po’ di demenza senile è in arrivo), con dimenticanze e sbadataggini (e anche qualche piccolo incidente domestico). Un libro che riflette sui cambiamenti imposti dall’avanzare dell’età, il che non può non richiamare alla memoria l’ultimo sforzo poetico di T. S. Eliot, i Quattro quartetti su cui si ragionò a suo tempo qui.

Ma è anche un romanzo d’amore, perché all’instabilità mentale del protagonista fa da contraltare l’estrema lucidità con cui lui ricorda Anna, l’amore indimenticabile della sua vita,  scomparsa prematuramente, dieci anni prima, in un incidente di surf. Era scrittrice e traduttrice, Anna, e le sue cose, il suo studio, la sua macchina per scrivere, i suoi scritti sono mantenuti in ordine come se lei dovesse riapparire da un momento all’altro per riprendere il suo lavoro.

Baumgartner italiano

Pubblicato in Italia da Einaudi nel 2023 nella traduzione di Cristiana Mennella.

C’è il rapporto con Anna, rivissuto quotidianamente, ma ci sono anche i rapporti con le persone, con alcune donne (e con una in particolare) con cui cerca invano di rifarsi una vita di coppia. Ma ci sono i suoi colleghi all’università, anche l’omino che viene a leggere il contatore e con cui costruisce uno stretto rapporto. E poi la ricercatrice che sta per arrivare per mettere mano agli scritti di Anna, fatto che lo spinge a ristrutturare la casa e in particolare la dépendance in cui la ospiterà. E’ quindi anche un libro sulla diversità e complessità dei rapporti interpersonali.

Ma è anche in romanzo sulla convivenza di presente e passato. Rivanga spesso la sua vita, il protagonista, oltre a quella di Anna, e va anche a ripescare le vicende dei propri avi e di quelli di lei. Storie di immigrazione, di adolescenze difficili, di contrasti sociali… Il libro è costruito proprio come un caleidoscopio che mescola di continuo il presente e il passato, conditi qua e là da sogni e immaginazioni.

A costellare questo mosaico affascinante sono inseriti, qua e là, brani dai diari e dagli scritti di Anna (oltre ad  alcune poesie che ha anche fatto pubblicare), ma anche alcuni scritti del protagonista. Un caleidoscopio nel caleidoscopio.

Via giù, riscoprire la bellezza nella scrittura di Paul Auster a distanza di parecchi anni è stata proprio una piacevolissima sorpresa!

Pubblicato da: miclischi | 25 marzo 2024

Una Minolta A5 dal mercatino di Marina

Minolta A5

Una macchina a telemetro niente male.

Riecco una macchina fotografica dal mercatino della terza domenica del mese a Marina di Pisa. Stavolta attirò l’attenzione una Minolta A5, apparentemente in  buono stato, con custodia originale in pelle, e poi ai classici du’ bicci…

Per un leicista le macchine a telemetro hanno un fascino tutto particolare, anche se nelle macchine di una certa età lo specchio semitrasparente per la messa a fuoco spesso si è slavato e quindi il telemetro serve a ben poco. Naturalmente prima dell’acquisto fu testato il funzionamento della messa a fuoco (in un riquadro centrale nel mirino); risultò efficiente e quindi fu deciso di prenderla e provarla.

Macchina pesantuccia, come si usava una volta, ma abbastanza compatta. Obiettivo fisso Minolta Rokkor 45mm con apertura massima 2.8. Tempi di otturazione fino a 1/500, indicatore di profondità di campo sulla ghiera delle distanze, autoscatto (funzionante!), contapose azzerabile, contatti M e X per il flash, slitta porta accessori. Insomma non ci manca niente (a parte l’esposimetro…). Importante: sul dorso della macchina c’è anche un memo per indicare la pellicola che si è caricata. Inoltre non si è dipendenti dalla custodia (pur se solida e affidabile) per appendersi la macchina al collo, dato che ci sono anche gli inserti appositi ai lati della macchina la quale, quindi, può essere utilizzata facilmente anche “nuda”. Il manuale della macchina, come di consueto, si può trovare su sito web di Mike Buktus.

Miniolta A5-2

Pesantuccia ma abbastanza compatta.

Naturalmente furono scattati un paio di rulli di prova. All’atto pratico emersero solo due perplessità. Una del tutto soggettiva, legata alla focale dell’obiettivo. Per chi è abituato a usare principalmente un grandangolo o un medio-tele, questi 45 mm risultano un po’ come né carne né pesce. E anche rispetto ai classicissimi 50 mm dell’obiettivo “normale”, insomma, via, questa via di mezzo fra il normale e il grandangolo non appassionò più di tanto.

Minolta Foto Michele Lischi_900

Mamma e figlia (zia e cugina).

Poi c’è una questione un po’ pratica legata al posizionamento della ghiera della messa a fuoco. Mentre per tempi e diaframmi c’è un chiaro punto di riferimento (lo stesso per entrambi) in posizione leggermente laterale sull’obiettivo, per le scale delle distanze (ce ne sono due, una in metri e una in piedi) il punto di riferimento non è così evidente. Alla fine lo si trova in mezzo alla sequenza dei diaframmi alla base dell’obiettivo, quella che indica appunto come varia la profondità di campo al variare  del diaframma e della distanza. Si dirà: ma a che serve guardare la ghiera della messa a fuoco se c’è il telemetro? Giustappunto: se si vuole impostare la distanza tenendo conto della profondità di campo ci vuole un riferimento preciso. E qui è solo vagamente accennato.. Via giù, c’est pas grave.

E le foto di prova? Per motivi insondabili stavolta non ci si dedicò quasi per niente a ritratti (complice l’obiettivo inadatto?) ma a degli scatti di panorami urbani o rurali realizzati durante varie giratine nei dintorni: a Pisa, a Lucca, a Coltano e a Marina. Una piccola eccezione: alcune foto a una festa di compleanno ed altre al laboratorio con Animali Celesti a Coltano.

Minolta Foto Michele Lischi_915

A Coltano con gli Animali Celesti.

Complessivamente l’ergonomicità della macchina è risultata soddisfacente, anche se bisogna stare attenti (come sa chi usa le vecchie Leica) che la leva del trascinamento va spinta proprio fino in fondo, altrimenti i fotogrammi sul negativo risulteranno adiacenti e non separati.

Per le prove furono utilizzate pellicole Fomapan 200 e 400, entrambe esposte a 400 ASA (tanto i tempi di sviluppo in ID11 sono uguali e anche la resa appare parecchio simile).

Insomma, la prova è andata più che bene. La macchina funziona bene, le foto sono risultate soddisfacenti, e poi come detto tornare a scattare mettendo a fuoco con il telemetro rappresenta davvero un gradevolissimo tuffo nel passato!

picasion.com_Minolta A5

Scatti in giro con la Minolta A5. Cliccando sulle immagini si va sull’album web che contiene una più ricca selezione degli scatti di prova.

bartoli-teatro

Si chiude con Mozart.

Venerdì 15 marzo 2024: la prima delle due rappresentazioni dell’ultima opera in stagione al Teatro Verdi: Così fan tutte di Mozart. Dopo un Rossini, due Puccini e un Monteverdi (niente Verdi!), si chiude con la terza opera frutto del lavoro di Mozart con il librettista Lorenzo da Ponte.

Come di consueto, la sera prima l’opera è stata presentata al pubblico dal Direttore Artistico del Teatro, il Maestro Christian Carrara. Una presentazione, come di consueto, ricchissima e interessante, concentrata principalmente su un aspetto: lo iato fra le intenzioni del librettista, che scrive un testo divertente e buffo, e quelle del compositore non propenso più di tanto a celebrare il libero amore, gli scambi di coppia, insomma la licenziosità dei temi trattati. E infatti la musica non è proprio quel che ci si aspetterebbe in una presunta opera buffa. Forse è per questo che fra le tre opere del duo Mozart/Da Ponte questa è la meno rappresentata, la meno conosciuta, forse la meno apprezzata dal pubblico in generale. Mentre più di un musicista con cui si sono scambiate due parole la considera invece la più profonda e coinvolgente, almeno dal punto di vista musicale.

A condire questa situazione ecco le scene e i costumi di Milo Manara, accostatosi per la prima volta all’opera lirica alla sua veneranda età. C’era chi si aspettava (o temeva) rappresentazioni un po’ troppo spinte, mentre invece, come affermato dal regista dell’opera, Stefano Vizioli, nelle sue note di regia, quello di Milo Manara è un segno giocoso, colorato e vagamente licenzioso. E così infatti è stato.

Da Ponte

Si andò a ripescare il libro comprato alla Libreria del Lungarno nel 1992…

Insomma eccoci a teatro! Si comincia con l’Ouverture la quale, come sottolineato dal Maestro Carrara durante la presentazione, anche questa non è che si presenti poi tanto come preludio a un’opera buffa… Ma l’Orchestra della Toscana sotto la guida del Maestro Aldo Sisillo ci fa fin da subito la sua figura. Una riuscita amalgama fra tutte le sezioni, una conduzione precisa, insomma una goduria. E poi, nello svolgersi dell’opera, emerge con particolare evidenza la sezione dei legni che in quest’opera hanno forse un ruolo dominante: una goduria nella goduria. Completa il quadro musicale il Maestro Riccardo Mascia alla tastiera, con gustosi accompagnamenti dei recitativi.

E le voci? Come preannunciato, il Coro Arché, diretto dal Maestro Marco Bargagna, non compare mai in scena. Ma la sua parte la ha fatta proprio bene. Sì, l’orchestra, il coro… ma i cantanti?

Succede raramente, ma proprio raramente, che tutti i cantanti solisti in un’opera lirica risultino più che soddisfacenti. Ma in questa rappresentazione di Così fan tutte si è verificata proprio questa rara situazione. Belle voci (progressivamente ancor più apprezzate nel secondo atto), controllate ed espressive in tutti i registri, movimenti scenici abbondanti e funzionali, gestualità… (anche il regista Stefano Vizioli ha fatto proprio in bel lavoro!). Insomma, non mancava proprio niente. Forse proprio a conferma del concetto di coralità espresso dal Maestro Carrara alla vigilia della prima, i solisti è come se si fossero coalizzati per la buona riuscita di tutte le scene, e proprio così è stato.

E’ giusto citarli tutti, i sei solisti, perché tutti hanno davvero ben figurato, meritandosi frequenti applausi a scena aperta.

Così Fan Tutte_Teatro Verdi di Pisa__15-03-2024_photo by Kiwi_1

All’inizio della seconda scena si nota subito l’impronta di Milo Manara: Fiordiligi (Maria Mudryak) e Dorabella (Lilly Jørstad) sono un po’ scollacciate in una vasca da bagno! Foto Kiwi Official – Diego Bianchi.

Don Alfonso, interpretato da Emanuele Cordaro, si presenta subito come greve e autorevole, con una bella voce profonda ed espressiva, convincente in tutti i momenti dell’opera. Fiordiligi interpretata da Maria Mudryak ha centrato appieno il ruolo della meno propensa, fra le due sorelle, a lasciarsi andare alle passioni. Estensione amplissima della voce richiesta dalla partitura, ed egregiamente interpretata dalla Mudryak. Più disinvolto il personaggio di Dorabella, interpretata da Lilly Jørstad, anche lei sempre a suo agio con una voce convincente. Il personaggio perno dell’opera, Despina, è qui interpretata da Francesca Cucuzza. Estrosissima nel suo ruolo di mattacchiona, nei travestimenti, negli infiniti ammiccamenti, il tutto condito da una voce bella, possente, espressiva. Poi ci sono loro, i cellettoni, i giovanottoni ingenui e manovrati dai giochi di Don Alfonso. Guglielmo e Ferrando, interpretati rispettivamente da Jiri Rajnis e Antonio Mandrillo: hanno convinto e come, con le loro diversissime voci (così come sono diverse quelle delle due sorelle, in questo gioco delle simmetrie/asimmetrie sottolineato dal Maestro Carrara), espressive, adeguate, convincenti. Anche loro chiamati a innumerevoli movimenti scenici, gestualità, atteggiamenti.

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Le scene “vagamente licenziose” di Milo Manara. Foto Kiwi Official – Diego Bianchi.

Forse non è un caso che all’applausometro finale i sei cantanti siano stati tutti acclamati con lo stesso entusiasmo da parte del pubblico, come orchestra e coro, forse con un lieve sbilanciamento di volume a favore della Fiordiligi interpretata da Maria Mudryak.

Insomma una serata davvero bellissima, in cui ha funzionato tutto: voci, orchestra, scene, regia, luci… davvero non si poteva immaginare una migliore chiusura di stagione. Il cartellone completo si trova qui.

Se si volesse segnalare un brano dell’opera che ha colpito particolarmente, per la sua quasi-sacralità, per la delicatezza e intensità dell’esecuzione, viene subito da pensare al terzetto Soave sia il vento, Tranquilla sia l’onda.  Davvero un’intensità pazzesca.

Ci si ritrova al Verdi in autunno per la prossima stagione! Questa è andata nel complesso più che bene!

Così Fan Tutte_Teatro Verdi di Pisa__15-03-2024_photo by Kiwi_7

Soave sia il vento, Tranquilla sia l’onda. Foto Kiwi Official – Diego Bianchi.

Pubblicato da: miclischi | 18 marzo 2024

Stefan Zweig: Il mondo di ieri. E quello di oggi?

Il mondo di ieri

Bella traduzione di Lorena Paladino.

Un libro massiccio di un autore mai letto prima. Un bel regalo (grazie Giorgio!). Un libro letto con passione, un susseguirsi di fatti e di persone nella testimonianza personale di Stefan Zweig. Si tratta del racconto delle vicende vissute dall’autore dal periodo antecedente la prima guerra mondiale fino alla vigilia della seconda. A Vienna, in Austria, ma anche in giro per l’Europa e poi negli Stati Uniti. Il mondo di ieri, pubblicato in Italia da Garzanti nella splendida e fluidissima traduzione di Lorena Paladino.

E’ un libro angosciante perché, tranne che nel periodo iniziale, sono angoscianti i tempi vissuti dall’autore. Soprattutto se confrontati ai tempi felici della sua giovinezza, quando si poteva concentrare sui piaceri dell’apprendimento scolastico, della ricerca letteraria, della cultura nel suo insieme. Quando l’arricchimento e il piacere derivavano principalmente proprio dalla crescita culturale. Con la guerra, il dopoguerra e l’imminente arrivo del successivo conflitto tutto ciò scompare. Perché?

Se oggi, con il senno di poi, ci si chiedesse perché l’Europa nel 1914 sia entrata in guerra, non si riuscirebbe a trovare neppure un motivo ragionevole, quasi nemmeno un pretesto plausibile. In effetti, non fu questione d’ideologie contrastanti e a mala pena di confini; non riesco a spiegarlo altrimenti se non per questo surplus di forza, drammatica conseguenza di quel dinamismo interiore accumulatosi in quei quarant’anni di pace e che necessitava ora di uno sforzo violento.

Ci sono tanti momenti gioiosi,  nonostante tutto, proprio perché l’instancabile desiderio di alimentare il proprio sapere, interagire con gli altri, arricchirsi intellettualmente, spinge Zweig a concentrarsi proprio su quello anche nei momenti difficili. E meno male, altrimenti la lettura sarebbe stata forse troppo pesante. Ci sono gli incontri con Joyce, con von Hoffmansthal, Freud, Richard Strauss, Rilke… e tanti altri. Fitti scambi di idee, opinioni, saperi che arricchiscono la vita dell’autore e la gioia del lettore.

Zweig

Stefan Zweig (dalla pagina Wikipedia).

Ma il desiderio di potere e di controllo sembra prevalere e si prepara una nuova guerra, stavolta con l’aggravante delle implicazioni razziste e antisemite (Zweig si rifugia a Londra). E qui l’autore, reduce dalla delusione della precedente guerra, esprime la sua intolleranza per chi fa finta di niente.

… tutte le persone che incontrai a Vienna mostravano una serena spensieratezza: si scambiavano inviti per serate in smoking e frac senza immaginare che ben presto avrebbero indossato la divisa dei detenuti dei campi di concentramento, prendevano d’assalto i negozi per i regali di Natale destinati a riempire le loro belle case senza pensare che qualche mese più tardi sarebbero state loro confiscate e saccheggiate.

Una racconto di varie fasi della vita, un’autobiografia insomma; ma colpisce il fatto che l’autore cerca di staccarsi da sé per concentrarsi soprattutto sulle situazioni e le persone con cui si è relazionato, più che sulla sua vita personale. Un esempio fra tutti: vengono menzionate solo quasi di sfuggita le sue due mogli…

La lettura di questo libro appassionante ha richiamato alla memoria quella del romanzo storico di Francesco Pasqualetti, La regina della notte, di cui si ragionò a suo tempo qui. Al momento di quella lettura si era all’inizio della guerra in Ukraina, una guerra che dura da oltre due anni. E poi ora c’è anche la guerra in Medio Oriente. Questo libro di Zweig (che racconta l’inizio del Novecento), come quello di Pasqualetti (ambientato alla fine del Settecento), sembrano ripeterci con insistenza la stessa domanda: la storia non ci ha insegnato niente? Oppure: la storia ci conferma che non ci sono speranze per un futuro senza guerre in Europa?

Stalingrado

Pubblicato in Italia da Bompiani nel 1949 nella traduzione di Amina Pandolfi.

A proposito di guerre, il caso volle che proprio nel periodo in cui fu letto il libro di Zweig si completasse la lettura cessile (che quindi è durata parecchio) di un vecchio libro emerso dalla biblioteca di Luciano Lischi. Una bella edizione Bompiani un po’ sbertucciata. Si tratta di Stalingrado dello scrittore tedesco Theodor Plievier (prima edizione in tedesco: 1948; in italiano: 1949). A quanto pare adesso il libro è reperibile solo sul mercato dell’usato.

Si tratta di un dettagliatissimo resoconto delle ultime fasi della disfatta dell’esercito tedesco in seguito alla cosiddetta battaglia di Stalingrado. Un’attenzione quasi maniacale al dettaglio, alla descrizione delle singole persone (persone prima che soldati) abbandonati a sé stessi al freddo e al gelo, senza cibo, senza medicine, senza speranze. Abbandonati da un regime nel quale ogni giorno credono sempre di meno. Condannati a morte: che sia una bomba sovietica, o la cancrena, o il congelamento, la sfinitezza, o anche la decisione di togliersi la vita. Insomma un libro assai pesante che fortunatamente è stato letto a piccole dosi…

Bene, ora basta con i libri sulle guerre, speriamo proprio di voltare pagina con le prossime letture!

Per la cronaca 1: Nel 2016 è stato realizzato da Maria Schrader il film documentario dal titolo Stefan Zweig: Farewell to Europe. Il trailer si può vedere qui.

Per la cronaca 2: A proposito di guerre e considerazioni sulle guerre: ritornarono in mente alcune considerazioni di Tiziano Terzani. In occasione dell’uscita del suo libro Lettere contro la guerra fu intervistato per RaiNews24. Il video dell’intervista si può vedere qui.

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