Pubblicato da: miclischi | 10 marzo 2020

L’architettrice: un’altra storia meravigliosa raccontata da Melania Mazzucco.

Pubblicato da Einaudi nel 2019

Plautilla Bricci, chi era costei? Sconosciuta ai più, viene finalmente riportata alla luce, in tutto il suo splendore umano e artistico, dalla narrativa efficacissima di Melania Mazzucco. Di nuovo un tuffo nel passato. Nel romanzo L’architettrice la Mazzucco ci catapulta nella Roma del ‘600, con alcuni flashforward nel 1849, sempre a Roma.

Di nuovo, così come avevamo letto nella Venezia del ‘500 (La lunga attesa dell’angelo, di cui si era ragionato qui), il rapporto fra padre e figlia, circondati dall’arte. Ma circondati anche da un ambiente difficile, quasi ostile, fatto di lotte per la sopravvivenza, tensioni sociali, scontri fra poteri, convenienze, inciuci… insomma una vita difficile.

Di nuovo l’arte come strumento di salvezza. In una vita di privazioni e rinunce, Plautilla trova il proprio riscatto, la propria affermazione come donna e come artista, addirittura –  a quell’epoca – come architettrice, nella lettura, nella conoscenza, nello studio, nell’apprendimento di saperi e tecniche usualmente governati solo dagli uomini. Plautilla capisce fin da piccola che la vera ricchezza sta nella cultura. Dice il padre di Plautilla, Giovanni:

… le sedie servono solo a poggiarci il buco dell’allegria, e i letti per farci dei bei sogni, e non vale sprecare soldi per roba destinata a sfasciarsi. La cultura che uno si mette nella capoccia leggendo, invece, dura per sempre. E nessun usurario, nessun padrone potrà mai portartela via.

Un libro che, come ci ha abituato la Mazzucco, scorre via piacevolmente fluido. Narrato in prima persona da Plautilla, è ricchissimo di incisi narrativi e descrittivi, con dialoghi inseriti nella narrazione senza capoversi e virgolette (la tanto apprezzata tecnica smithiana!). E ancora una volta l’autrice mescola e diluisce sapientemente le vicende e i sentimenti intimi dei personaggi con gli eventi storici che li circondano. Che siano i conflitti fra la Francia e il papato, o l’epidemia di peste bubbonica, o l’avvicendarsi dei papi e dei loro alleati o avversari.

Ma alle convenzioni sociali, almeno quelle dell’apparenza, bisogna pur adattarsi. E così l’amore può esser vissuto solo di nascosto, le frequentazioni devono essere calibrate e controllate, la costruzione di una famiglia e la maternità saranno sempre chiaramente negate alla protagonista. Ma forse ciò non pesa più di tanto a Plautilla. Meglio sola e indipendente che male accompagnata. Come la sorella Albina, data in sposa a un uomo che Plautilla non apprezza per niente, un tipo con cui di sicuro non avrebbe voluto condividere la propria vita:

La sua conversazione, in un micidiale accento fiorentino, si rivelò misera: non s’intendeva d’arte, non leggeva libri, non sapeva suonare manco la chitarra, ignorava i progressi della scienza e in politica orecchiava le opinioni altrui senza averne una propria.

Un libro che, pur nella sua bellezza, è tutto ammantato di malinconica tristezza. Perché capitolo dopo capitolo si snocciola la vita di Plautilla fatta in gran parte di rinunce. Ha un bel mostrare la propria forza interiore, la propria coerenza, la propria incrollabile solidità, Plautilla: le rinunce sono sempre rinunce, e fanno male.

Prospetto di Villa Benedetta

A far da contorno a questo personaggio straordinario, ci sono le sue variegate e complesse relazioni: prima di tutto con la famiglia. Il padre estroso e inafferrabile e pure grande trasmettitore di conoscenze, la madre remissiva, la sorella competitiva, il fratello alla ricerca di un’ascesa, il cognato ghiozzo, le nipoti difficili… E nella sua vita spigolosa Plautilla deve fare i conti anche con la morte, una a una, di tutte le persone che hanno davvero contato per lei. Poi ci sono le persone. I vicini di casa, la gente per strada, i bottegai, i poveri e i poveretti, i ricchi e i potenti. Poi l’esclusiva e quasi sovversiva amicizia con la suora. Suor Eufrasia, sua confidente e ispiratrice. Poi ci sono le relazioni per così dire lavorative. Con gli altri artisti, con i committenti, con l’Accademia e poi, soprattutto, con lui. L’abate Benedetti, agente di Mazzarino a Roma. Vicino, intimo e irraggiungibile, arriva a compiere il sacrilegio di negare a lei, Plautilla, il merito della progettazione di Villa Benedetta (Il cosiddetto “Vascello“). Personaggio per certi versi viscido e inaffidabile, l’abate Benedetti sarà per (quasi) tutta la vita di Plautilla  l’unico oggetto della sua ricerca di sensualità, fuori dalle regole e dalle convenzioni.

Insomma uno splendido dipinto narrativo di una parabola umana e artistica. Nel quale si calano sapientemente questi inserti di salto in avanti, fino alle giornate della fine della Repubblica Romana nel 1849. A far da anello di congiunzione, proprio il Vascello, il palazzo progettato da Plautilla quasi due secoli prima e adesso roccaforte della resistenza sotto le cannonate dei francesi.

Ritorna la guerra, ritornano le privazioni, il dolore, la morte, in queste parentesi narrative di grande efficacia. Il protagonista di questi episodi risorgimentali, Leone (narrato in terza persona), si aggira con meraviglia in quei luoghi, in quelle sale semidistrutte, in quelle atmosfere evocatrici di altri tempi, altre aspirazioni, altri sentimenti. E questo palazzo eroicamente eretto da un’architettrice della Roma papale e barocca si sgretola sotto le bombe, così come si sgretola il sogno della Repubblica Romana.

Una bellissima trovata narrativa, questa di congiungere questi due momenti storici usando come perno l’opera più rappresentativa dell’audacia di Plautilla.

Il teatro non mi è mai sembrato così grande. La prua della nave mai così ardita. Salvo l’acqua della fontana, che continuava a spruzzare il suo getto altissimo, ogni cosa era immobile, priva di vita, come per effetto di un incantesimo. Cristallizzata in una bellezza irregolare, stravagante, così originale che non avrebbe mai avuto paragone.

Si arriva in fondo al libro stanchi, spossati da questa moltitudine di storie angoscianti. Eppure, si rimane con una lieve sensazione di aver letto una storia importante e splendidamente raccontata. Davvero un grande libro.

La Madonna con Bambino di Plautilla Bricci nella Chiesa di Santa Maria in Monte Santo (Chiesa degli Artisti)

Per la cronaca 1: In una appendice al romanzo, l’autrice segnala che ci sono due opere di Plautilla Bricci visibili al pubblico a Roma: la Madonna col bambino nella chiesa degli Artisti e la cappella di San Luigi nella chiesa di San Luigi dei Francesi. Il libro è corredato da un notevole apparato iconografico con riproduzioni di dipinti, disegni,scritti, etc.

Per la cronaca 2: Fa un certo effetto, in questi giorni di emergenza da Corona Virus, leggere nel libro della Mazzucco le misure adottate a Roma in occasione della peste del 1656: … la Congregazione pretese che i cardinali titolari delle chiese del rione distribuissero soldati a piedi e a cavallo, piazzò ai varchi guardie armate che avevano l’ordine di sparare a chiunque avesse tentato d’entrare e uscire, e ci chiuse dentro i seimila abitanti. La mattina dopo le autorità sbarrarono i collegi e mandarono in vacanza gli studenti, ordinarono ai monasteri di fare provviste per  venti giorni, e proibirono agli orfanelli di accompagnare i morti. La domenica sospesero le attività dei tribunali, vietarono riunioni e assembramenti.  


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