Pubblicato da: miclischi | 3 marzo 2022

Il Giulio Cesare di Händel al Verdi di Pisa: una meraviglia!

bartoli-teatro

Il Giulio Cesare di Händel; un’opera grandiosa, grandiosamente rappresentata.

Venerdì 25 febbraio 2022: nella stagione lirica 2021-22 del Teatro Verdi di Pisa va in scena un’opera che non capita tanto spesso di veder rappresentata: il Giulio Cesare di Georg Friedrich Händel. Un’opera grandiosa, complessa, lunga, con tanti interpreti, cambi di scena… C’era tanta attesa per questa opera definita colossal dal regista Matteo Mazzoni, mentre il direttore dell’Orchestra Auser Musici, il Maestro Carlo Ipata, la descrive come una delle opere più impegnative dal punto di vista musicale fra quelle lasciateci da Händel.

Una piacevolissima novità è stata, la settimana prima della rappresentazione, il ritorno della tradizione di presentare l’opera al pubblico nel foyer del Teatro. Il regista e il direttore d’orchestra hanno presentato l’opera dal punto di vista musicale e della messa in scena, con particolare attenzione alla vocalità degli interpreti. Infatti ai tempi di Händel era comune utilizzare le voci dei castrati (tre di loro interpretarono i ruoli di Cesare, Tolomeo e Nireno nella prima rappresentazione a Londra nel 1724), oltre alla tradizione delle parti en travesti. Per questa rappresentazione è stato scelto di adottare i ruoli che furono indicati per la ripresa dell’opera agli inizi del Novecento, con la parte di Cesare interpretata da un baritono, quella di Tolomeo da un contralto e quella di Sesto da un sopranista.

Presentazione Giulio Cesare

Magdalena Urbanowicz e Federico Fiorio, accompagnati da Riccardo Mascia, eseguono il duetto della fine del primo atto durante la presentazione nel Foyer del teatro.

Come avevamo già visto in altre rappresentazioni negli anni recenti, il regista ha annunciato l’estensivo utilizzo di video proiezioni in scena. Una gustosissima sezione della presentazione è stata dedicata all’esecuzione dal vivo del duetto Cornelia-Sesto alla fine del primo atto dell’opera (interpretati rispettivamente da Magdalena Urbanowicz e Federico Fiorio, accompagnati da Riccardo Mascia al clavicembalo). Un assaggio della meraviglia che avremmo visto ed ascoltato la settimana successiva in teatro.

E’ raro che la rappresentazione di un’opera lirica non lasci dubbi, o malcontenti per questo o quell’aspetto; che sia la vocalità o l’abilità attoriale di questo o quel cantante, o la resa musicale dell’orchestra, oppure la regia, le scene, i costumi, le tanto vituperate proiezioni… Nel mettere in scena questa nuova produzione del Teatro Verdi, tutti gli addetti ai lavori si sono adoperati per ottenere un risultato meraviglioso, senza pecche, il che è proprio un evento straordinario.

Cominciamo dall’orchestra. Un organico più nutrito rispetto ad altre rappresentazioni in cui avevamo già notato le qualità dell’ensemble Auser Musici. Qui ci sono quindici archi, dieci fiati e poi la tiorba, la viola da gamba e anche l’arpa. Fin dall’ouverture si è potuta notare l’estrema densità e qualità delle sonorità che provenivano dalla buca dell’orchestra. Certo, la bellezza della musica di Händel aiuta, ma nell’universo della musica barocca è capitato di sentire proprio di tutto. Carlo Ipata ha condotto il suo ensemble nel faticosissimo tour de force del Giulio Cesare senza mai cedere, mantenendo sempre altissimo il livello di concentrazione e di resa strumentale dell’orchestra.

Carlo Ipata

Il Maestro Carlo Ipata alla guida dell’orchestra Auser Musici.

C’è un fatto che rappresenta benissimo la qualità della resa musicale. Come si è detto, l’opera è parecchio lunga, e lunghe sono anche alcune della arie che costellano la narrazione, per non parlare dei recitativi. Oltre a essere lunghe, tutte le arie sono caratterizzate alla loro fine, come al solito in quell’epoca, da una ripetizione dell’inizio, prima strumentale e poi vocale dell’aria stessa. Tanto che non è infrequente sentire qualche detrattore dell’opera (e dell’opera barocca in particolare) uscirsene con un’espressione del tipo boia dé, ma ‘un hanno ancora finito? Ecco, questa esecuzione del Giulio Cesare la tensione musical-emotiva creata dall’orchestra era talmente intensa che verso la fine dell’aria si aspettava quasi con trepidazione quel brevissimo intervallo di silenzio, quell’infinito istante al quale avrebbe fatto seguito il da capo, un ritorno al tema introduttivo che si faceva attendere per far riesplodere l’entusiasmo nell’animo dell’ascoltatore/spettatore. Davvero una meraviglia che si è riprodotta ancora e ancora durante tutta la durata dell’opera. Cosa che risulta particolarmente straordinaria per un’opera mai sentita prima, e che quindi è riuscita a catturare proprio per la qualità della sua esecuzione.

Per quanto riguarda l’organico, è risultata particolarmente piacevole la presenza di fagotti che si facevano delicatamente sentire laddove serviva. E i due flautisti-oboisti che suonavano ora l’uno ora l’altro strumento? E i corni? E i solisti-strumentisti che accompagnavano i solisti-cantanti in favolosi duetti? Insomma una vera goduria.

Giulio Cesare

L’immagine sul pieghevole di sala.

I cantanti? Otto interpreti, tutti all’altezza, tutti adeguati, tutti abili nel combinare le proprie doti canore con le movenze attoriali, calati nella parte, complementari l’uno all’altro (o all’altra) nel rappresentare questa storia dai tanti risvolti. Anche perché in quest’opera in cui si potrebbe pensare dominante nei personaggi l’aspetto eroico-militaresco-combattente-violento, quel che la musica di Händel trasmette è soprattutto la loro umanità, nel bene e nel male, con una struggevolezza estrema. Il Giulio Cesare di Marco Bussi ha mostrato un’estrema duttilità nell’addentrarsi in tutti gli estesissimi meandri della sua vocalità; l’interprete di Tolomeo, la contralto Sonia Prina, ha saputo calarsi nel personaggio e renderlo con grande veridicità; la Cleopatra di Silvia Dalla Benetta ci ha fatto anche lei la sua figura, forse proprio nel rappresentare l’ambiguità del personaggio. Si era detto di Magdalena Urbanowicz nel ruolo di Cornelia: oltre alle sue doti vocali, questa interprete ha saputo mostrare durante tutta l’opera la sua partecipazione emotiva al tragico recente lutto (l’uccisione di Pompeo) e alle sventure che continua a vivere. Sesto, il ragazzino figlio di Cornelia e Pompeo, è stato interpretato dal sopranista Federico Fiorio: una voce favolosa accompagnata da movenze sceniche che pareva proprio venissero dal passato: un interprete di un’altra epoca. Completano il quadro Rocco Lia nel ruolo del generale Achilla, Patrizio La Placa (Curio) e Antonello Dorigo (Nireno). Si è voluto citarli tutti, quegli interpreti, perché tutti hanno figurato più che bene, e  a tutti il pubblico entusiasta ha dedicato tantissimi applausi, sia a scena aperta che nell’applausometro finale (nel quale pare aver riscosso ancor più gradimento degli altri il Sesto di Federico Fiorio, che si è aggiudicato il primato nell’applausometro insieme al Maestro Carlo Ipata con la sua orchestra).

E le scene? La regia? I costumi, le luci, le proiezioni? Questi elementi, indissolubilmente legati gli uni agli altri, hanno prodotto un risultato d’insieme davvero efficace, stupefacente, emozionante. Prima di tutto la scelta di un’ambientazione “classica” senza rivisitazione in chiave modernista o contemporanea. Poi, in particolare, le proiezioni (di Luca Attilii) sono state magistralmente gestite, per funzionare davvero come supporti alla scena, o meglio alle scene che si sono susseguite con tantissimi cambi. Sia le immagini ferme (come scenari egizi, oppure boscosi) che quelle in movimento, come per esempio il cielo con i nuvoloni che corrono spinti dal vento oppure, soprattutto, la magistrale scena in cui Cesare si ritrova sulla costa dopo esser scampato al tentativo di ucciderlo: le piccole onde che si infrangono sulla scena, i rivoletti d’acqua che corrono di qua e di là sono risultati di una veridicità pazzesca, in cui i personaggi in scena parevano proprio trascinarsi fuori dall’acqua. Una riuscita proprio favolosa delle proiezioni, finalmente! Infine, cose che pare scontata ma a volte proprio non c’è, in quest’opera il regista Matteo Mazzoni  ha provveduto a generare movimenti scenici, singoli, di coppia e di gruppo, proprio efficaci e funzionali alla drammaturgia. Un lavoro proprio ben fatto. Il cartellone completo si trova qui.

Il tutto arricchito, in alcuni momenti dell’opera, dalle coreografie di Daniela Maccari, con le ancelle ondeggianti che spaziavano in scena come un elemento complementare efficacissimo.

Davvero, fa proprio strano assistere a un’opera in cui piaccia tutto. Ma proprio tutto. E rimanere, all’uscita dal teatro a tarda notte, con addosso una forte sensazione di aver assimilato qualcosa di intenso, come quei temi solenni e dolci al tempo stesso che continuano ad echeggiare nella mente. Davvero un’esperienza indimenticabile. Grazie a tutti quanti hanno reso possibile questa meraviglia.

Son nata a lagrimar

Il desolatissimo duetto Cornelia-Sesto alla fine del primo atto: una musica penetrante che rimane indissolubilmente addosso.

Per la cronaca 1: se proprio si vuole trovare un difettuccio in questa magnifica serata, chissà come mai, per la prima volta a memoria di un assiduo nonché anziano frequentatore delle stagioni liriche del Verdi, non c’era il programma di sala che di solito viene reso disponibile all’ingresso e che solitamente contiene il libretto dell’opera oltre alle note del regista, del direttore d’orchestra, eventualmente altri interventi critici, oltre all’indicazione non solo degli interpreti canori e degli altri artefici dello spettacolo, ma anche per esempio degli strumentisti dell’orchestra. Stavolta è stato distribuito solo un pieghevole plasticoso con brevissimi testi (uno dei quali finisce nel nulla: che sia stato il risultato di un maldestro copia-e-incolla?) e pochissime informazioni. E se uno avesse voluto sapere chi erano gli strumentisti che si sono esibiti in favolosi duetti con i cantanti? Oppure, chi erano le danzatrici? Peccato. Fra l’altro, per esempio, avrebbe potuto essere per lo meno reso disponibile (sul sito del teatro o con un QR code sul pieghevole) il libretto dell’opera reperibile su Internet (come per esempio qui). Vabbè, qualcosa da ridire alla fine lo si è trovato!

Asterix_e_Cleopatra

L’edizione italiana pubblicata da Panini Comics

Per la cronaca 2: La storia di Giulio Cesare in Egitto è una di quelle vicende che fa parte dell’immaginario collettivo, frutto dei ricordi scolastici e di letture di vario genere. Avendo la curiosità di saperne di più sulle varie reinterpretazioni della vicenda in vari contesti e in varie epoche torna utilissimo, come sempre, andare a risfogliare il Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi (che fu meritoriamente ripubblicato nel 2006). Si trovano quindi, fra le tante altre opere di varia natura, il Giulio Cesare di Shakespeare della fine del ‘500, La morte di Cesare di Voltaire (1735), il Cesare di Goethe (tragedia incompiuta), la commedia Cesare e Cleopatra di Bernard Shaw (1899). Fra le opere di teatro musicale, il dizionario cita la prima opera ispirata alla tragedia di Shakespeare (di Francesco Cavalli nel 1646), poi naturalmente l’opera di Händel, ma anche l’Ouverture di Schumann del 1850 e anche l’opera Giulio Cesare  di Francesco Malipiero del 1936. Della serie: c’è sempre da imparare.  Però sul Dizionario Bompiani non viene menzionata una delle rappresentazioni forse meglio riuscite della storia di Cesare in Egitto: Asterix e Cleopatra di Goscinny e Uderzo, pubblicato in francese nel 1965 e poi tradotto in tutto il mondo, come tutte le storie di Asterix.


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